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«Come sapevi che ero io in cucina?»
«Non in molti conoscono i miei gusti preferiti di gelato e poi, non mangio più insieme pistacchio e lamponi da quasi tre anni.»
Deglutisco.
«Avrai sicuramente trovato un abbinamento più interessante.»
«Come quello è difficile da trovare.»
Deglutisco di nuovo e rimetto a fuoco l’immagine di Jessica che si era già affievolita.
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«Ti ho preparato la colazione, ti aspetto di sotto» dice avviandosi verso la porta, ma voltandosi un istante appena prima di varcare la soglia.
A questo punto sono completamente sveglia! Vado in bagno e mi guardo allo specchio e come al solito sarebbe stato meglio se non lo avessi fatto. Occhiaie da poco sonno e sorriso stupido, una combinazione che sembra essere fatta apposta per quando Matt mi vede al mattino. Tanto siamo amici, non devo far colpo su di lui.
L’aroma del caffè sale per le scale ed è intenso, non sembra il classico caffè annacquato che bevono tutti qui. Scendo e rimango a bocca aperta quando vedo una moka, una vera piccola moka italiana sul fornello, col vapore del caffè espresso appena fatto che esce. Lo guardo e lui fa finta di niente, prendendola e facendomi strada verso la veranda, dove la posa su un tavolino apparecchiato: pancake con sciroppo d’acero, toast, succo di ananas e persino le pesche. Questo è quello che mangiavo quando andavamo a fare colazione a Guadalupa. Lo guardo allibita.
«Hai fatto tutto da solo?»
«Così mi offendi!»
«Voglio dire… è la mia colazione perfetta, dove hai trovato tutta questa roba? Le pesche, poi, non è proprio stagione.»
«In effetti mi ci è voluto un po’ per trovarle, quelle!»
Sono estasiata e non so che dire. Lui mi fa cenno di sedermi sul divano davanti al tavolino, e poi si butta sulla sedia a dondolo e prende un bicchiere con un contenuto di un colore violaceo.
«Ci sono negozi aperti a quest’ora qui?»
«Non credo.»
«Non poteva esserci in casa tutta questa roba se i tuoi nonni non vengono qui da mesi.»
«No, infatti.»
Lo guardo finché non fa altrettanto.
«Che c’è? Sono andato al supermercato prima di partire da Londra» dice come se niente fosse e la mia mente elabora l’informazione.
«Tu eri sicuro che avrei accettato di venire con te?»
«Lo speravo.»
«E sapevi che saremmo rimasti qui a dormire?»
«Era un’alternativa.»
«E hai comprato tutte le cose che mi piacciono.»
«Che amico sarei se avessi comprato tutte le cose che non ti piacciono?» dice storcendo il naso e io rido.
«Ok.»
Mi arrendo, lui ha progettato questa uscita per filo e per segno.
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Oh no, no. Questo è totalmente sbagliato. È sbagliato quello che mi sta dicendo il mio corpo con l’accelerazione improvvisa di tutta la circolazione sanguigna, il formicolio generico e quell’istinto di saltargli addosso. È sbagliato quello che mi sta dicendo lui con le parole, con i movimenti delle sue dita sul dorso della mia mano, con gli occhi e con tutto il suo baricentro spostato verso me.
L’unica in disaccordo pare essere la mia coscienza, quella vocina che non ha ancora imparato quando è il caso di stare zitta e che mi fa vedere il fantasma di Jessica sullo schermo del televisore gigante dietro la schiena di Matt. È un fantasma e in quanto tale va e viene, va e… e ha perso l’attimo nel tornare perché le sue labbra sono sempre più vicine alle mie e nonostante questa nuova sensazione di solletico che mi provocano i suoi baffi, sparisce tutto appena le sue labbra arrivano a contatto con le mie.
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